Onorevoli Colleghi! - Dagli inizi degli anni ottanta fino alla fine del 2000 il costo del petrolio greggio è stato contenuto nella media tra i 18 e i 20 dollari per barile. Solo nelle due crisi del 1986 e del 1998-1999 è sceso sotto i 10 dollari per barile. Nel 2001 il costo del petrolio era ancora inferiore a 30 dollari per barile.
      Oggi è a 70 dollari per barile. La possibilità e la probabilità di una ulteriore crescita non sono marginali.
      La crisi petrolifera in atto non è congiunturale, ma strutturale. Non è regionale, ma globale. È insieme una crisi economica e politica. I fattori essenziali di crisi sono due:

          a) il fortissimo declino del ciclo degli investimenti in ricerca di nuovi giacimenti, causato a partire dagli anni ottanta dal calcolo di rischio di sovrapproduzione, a fronte di un ipotizzato o temuto calo della domanda;

          b) all'opposto, il successivo avvento, e poi l'incremento verticale, della nuova domanda di petrolio proveniente dall'Asia. Le possibili esemplificazioni a questo proposito sono considerevoli: basti ricordare che negli ultimi quattro anni, per esempio, la Cina è divenuta il secondo consumatore mondiale di petrolio.

      L'eccesso della domanda sull'offerta ha radicalmente modificato i rapporti politici. Tanto all'interno dei Paesi produttori, quanto nei rapporti tra Paesi produttori e Paesi consumatori. Causando crisi e squilibri

 

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geopolitici. Generando nuove ambizioni di potenza.
      Sono, tutti questi, fenomeni che hanno evidenza in una catena che va dal Venezuela alla Nigeria, dal Golfo Persico al mondo arabo nel suo insieme, fino alla nuova politica fatta dalla Russia.
      Stiamo sull'Italia. L'effetto prodotto da questa cascata di fenomeni sull'economia e sulla società italiane è prospetticamente e progressivamente insostenibile, tanto in termini di produzione industriale, quanto in termini di conservazione del tenore di vita delle nostre famiglie.
      Restiamo in attesa della politica energetica che sarà messa in atto dal nuovo Governo, conservando comunque la nostra ferma convinzione su due punti essenziali:

          a) l'assetto del titolo V della parte seconda della Costituzione, voluto dalla sinistra, con la cancellazione dell'interesse nazionale, sostituito dalla competenza concorrente regionale in materia di infrastrutture energetiche nazionali, blocca e fa regredire il nostro Paese;

          b) i mulini a vento non potranno mai sostituire il nucleare.

      In attesa dunque che il Governo applichi la sua nuova politica energetica, data la presente e drammatica situazione in cui si trovano le nostre famiglie, riteniamo che sia essenziale un intervento di emergenza mirato a tutelarne il potere d'acquisto, progressivamente eroso - tra l'altro - dal costo del riscaldamento per la casa e dal costo del carburante per l'auto.
      Questo intervento può e deve prendere la forma di una «sterilizzazione» delle accise.
      Sappiamo che sulla «sterilizzazione» delle accise c'è stato finora un diverso orientamento europeo. E sappiamo anche che nella «teoria» economica si raccomanda di conservare condizioni che non favoriscano l'aumento discrezionale della domanda.
      Riteniamo tuttavia che nel momento presente, nella nuova e drammatica situazione che vivono le nostre famiglie a fronte di consumi che sono socialmente incomprimibili, e dunque sostanzialmente non discrezionali, questi argomenti devono e possono essere superati.
      Per queste ragioni la presente proposta di legge mira, in una logica di primo intervento, alla sterilizzazione fiscale degli aumenti di prezzo che dovessero determinarsi da ora in poi.

 

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